Wachet auf, ruft und die Stimme (Svegliatevi, ci chiama la voce), BWV 140

Cantata in mi bemolle maggiore per soli, coro e orchestra

Musica: Johann Sebastian Bach (1685 - 1750)
Testo: Picander da Philipp Nicolai
Occasione: 27a domenica dopo la festa della Trinità
  1. Wachet auf, ruft uns die Stimme
    Coro in mi bemolle maggiore per coro e tutti gli strumenti
  2. Er kommt, er kommt, der Bräut'gam kommt!
    Recitativo in do minore per tenore e continuo
  3. Wann kommst du, mein Heil?
    Aria (Duetto) in do minore per soprano, basso, violoncello piccolo e continuo
  4. Zion hört die Wächter singen
    Corale in mi bemolle maggiore per tenore, archi e continuo
    Arrangiato come Schubler-Chorale n. 1, BWV 645
  5. So geh' herein zu mir, du mir erwahlte Braut
    Recitativo in mi bemolle maggiore/si bemolle maggiore per basso, archi e continuo
  6. Mein Freund ist mein! Und ich bin dein!
    Duetto in si bemolle maggiore per soprano, basso, oboe e continuo
  7. Gloria sei dir gesungen
    Corale in mi bemolle maggiore per coro e tutti gli strumenti
Organico: soprano, tenore, basso, coro misto, 2 oboi, corno inglese, corno, 2 violini, viola, violoncello piccolo, continuo
Composizione: Lipsia, 1731
Prima esecuzione: Lipsia, Thomaskirche, 25 novembre 1731
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1847
Guida all'ascolto (nota 1)

Nella produzione di Johann Sebastian Bach la cantata sacra occupa un posto di fondamentale importanza. Essa rappresentava per Bach una forma liturgica aperta alle più intime confessioni, alla più fervida espressione religiosa, all'immedesimazione degli eventi biblici. Bach ha scritto cinque annate complete di cantate, e dal periodo di Arnstadt in poi non doveva più abbandonare questa forma.

La cantata «Wachet auf, ruft uns die Stimme» è stata composta a Lipsia per festeggiare la 27a domenica dopo quella della Trinità, una ricorrenza assai rara dell'anno ecclesiastico luterano che nel 1731 cadeva il 25 novembre. Il Vangelo stabilito per quella domenica era la parabola delle dieci vergini tratta da San Matteo XXV, 1-13. Bach scelse come corale su cui basare la cantata, quello molto noto di tre strofe scritto nel 1599 da Philipp Nicolai che si ispira appunto alla storia delle vergini avvedute e delle vergini pazze. Nicolai aveva accostato il testo di San Matteo al clima poetico del Cantico dei Cantici e alla visione della nuova Gerusalemme come descritta nell'Apocalisse di San Giovanni (cap. XXI). Il verso della terza strofa «Dodici perle sono le porte della tua città», ad esempio, è una citazione del testo biblico: le dodici porte raffigurano le dodici tribù dei figli d'Israele (Apocalisse XXI, 12 - 21).

Le tre strofe del corale formano l'inizio, il centro e la fine dell'opera. Alla prima e alla seconda strofa del corale fanno seguito un recitativo e un'aria (duetto), cosicché la cantata risulta suddivisa in sette parti. Il testo dei recitativi e dei duetti, il cui autore è ignoto, sviluppa liberamente il concetto della mistica unione fra l'Agnello e la sua Sposa, la nuova Gerusalemme, con aperti riferimenti al Canto dei Cantici. Le immagini poetiche dello sposo che salta sulle colline come un cerbiatto, dell'ingresso della sposa nella sala del convito, della sposa come sigillo impresso sul cuore e sul braccio dello sposo, dell'amico che cammina con la sposa sulle rose del cielo sono tutte tratte alla lettera dal Canto dei Cantici.

Il massimo biografo di Bach, Philipp Spitta, considera giustamente la cantata n. 140 uno dei primi saggi di quel modello ideale della cantata sacra che Bach doveva realizzare nell'ultimo periodo della vita: né il testo sacro del corale né la sua melodia vengono esposti al giuoco della fantasia. All'espressione del sentimento personale, stimolato dai testi sacri, servono particolari testi poetici e libere composizioni. Il carattere superiore ed invariabile del corale rimane intatto pur permeando il tutto come una forza unificatrice.

Questa struttura della cantata n. 140 viene esaltata dal fatto che il corale «Wachet auf, ruft uns die Stimme» è un cantus firmus affidato alle voci dei soprani, sostenuto nella prima strofa anche dal corno. Il cantus firmus emerge così con una linea chiara e squillante sulle altre parti in perfetta concomitanza con il messaggio che reca.

Dopo una breve introduzione segue il corale a quattro voci accompagnato da tre oboi, un corno, un violino piccolo, archi e basso continuo. Con straordinaria plasticità Bach ricrea l'atmosfera notturna descritta dal testo: il richiamo delle sentinelle, il risveglio, l'inquietudine e la gioia dell'attesa. Solo nel piccolo frammento alla parola «Alleluja» il flusso dei sentimenti contrastanti si acquieta. In un breve recitativo in stile secco il tenore, accompagnato dai bassi, annuncia l'arrivo dello sposo. Segue il primo duetto fra Gesù (basso) e la Sposa (soprano) animata da una casta intimità e da un aereo senso poetico, sottolineato dalle cristalline figurazioni del violino piccolo. Nella seconda strofa del corale, un trio ove il cantus firmus è affidato al tenore solista, il clima mistico si esprime con suprema purezza. Il cullante ritmo degli archi, definito da Spitta «una danza di spiriti felici», rivela la gioia di Sion guidata da Cristo al celeste convito. Il solenne recitativo del basso precede il duetto dell'unione mistica divenuta realtà: un brano colmo di una sublime beatitudine, delicatamente fiorita dal timbro dell'oboe. L'ultima strofa, un «Gloria» intonato dalle «voci umane ed angeliche» si presenta con disadorna semplicità, tutto concentrato sulla bellissima melodia del cantus firmus.

Antonio Mazzoni


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto del Maggio Musicale Fiorentino,
Firenze, Teatro Comunale, 26 luglio 1973

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Ultimo aggiornamento 23 dicembre 2019