O Jesu Christ, mein's Lebens Licht (O Gesù Cristo, luce della mia vita), BWV 118

Mottetto in si bemolle maggiore per coro e orchestra
Prima versione


Musica: Johann Sebastian Bach (1685 - 1750)
Testo: Martin Behm
Occasione: cantata funebre
Organico: coro misto, 2 litui, cornetto, 3 tromboni
Composizione: 1736 - 1737 circa
Prima esecuzione: 11 ottobre 1740 per il funerale del conte Joachim Friedrich von Flemming
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1887
Guida all'ascolto (nota 1)

La chiarezza di idee nel rifiuto dì ogni compromesso con i dettami della moda è una colpa che si paga cara, come ebbe a sperimentare di persona Bach che, sordo alle «galanti» lusinghe del suo tempo, si vide ripagato da ben scarse gratificazioni, quando non da aperte ostilità (Scheibe). Due sole furono infatti le cantate che in un'epoca satura di edizioni sacre videro la luce durante la vita del loro autore, su un totale di circa trecento composte (un centinuaio sono andate smarrite).

Trascorse esattamente un secolo dalla morte del musicista prima che la Bachgesellschaft, tanto meritoria nella diffusione della musica del suo paladino, ormai ampiamente riabilitato, ne iniziasse la pubblicazione, seguendo una numerazione che è quella della loro progressiva comparsa e non dell'ordine cronologico nel quale furono scritte. Averle raccolte insieme dopo che quell'erede squattrinato del figlio Friedemann se le era bacchettate per dodici talleri, disperdendole in tutta la Germania, aver sceverato il grano dal loglio degli apocrifi, fu certo opera di non scarso rilievo, della quale dovettero tener conto tutti i successivi esegeti bachiani attivi nella catalogazione e nella stampa delle edizioni critiche (Bach Werke Verzeichins, più comunemente noto con la sigla BWV).

Il termine «cantata» per un aspetto della produzione religiosa barocca, introdotto in Germania dal pastore e librettista tedesco Neumeister (1700), non venne adottato da Bach che in rare occasioni (7 per l'esattezza): preferì definirle «Geistliche Konzerte» (concerti sacri) o più semplicemente «Kirchenmusik» (musica da chiesa).

Di non poco debitrice all'omonima forma profana italiana (arie, ariosi, recitativi) e al melodramma, la cantata della riforma raggiunse il suo massimo splendore nei centri dell'ortodossia luterana dove, com'è noto, le due sfere convivevano in perfetto accordo, mentre trovò fieri avversari nei pietisti che vi ravvisavano germi di corruzione secolare.

Gli immediati precursori di questo genere — che non potranno essere rintracciati prima del 1700 perché solo a partire da questa data si può effettivamente parlare di musica sacra della riforma, e che Bach ampiamente conosceva — furono il compositore Philipp Krieger, brillante operista di stampo italiano, Zachow, imprescindibile modello nel diverso trattamento musicale delle parafrasi (risolte con recitativi e arie con da capo) e del testo biblico («concertato» e fuga), mentre Telemann apri la via alle sinuose e «affettive» delicatezze dello stile galante.

I due lavori che ascolteremo stasera [Cantate BWV 118 e 50 n.d.r.] appartengono agli ultimi anni dell'attività del Cantor di Lipsia che oltre ai molteplici impegni (organista, bibliotecario, insegnante, direttore della musica durante i servizi liturgici), doveva garantire alle tre chiese principali di San Tommaso, San Nicola e San Paolo, una cantata per ogni domenica e per le festività: 59 l'anno, dunque, stando al calendario liturgico, che il coro intonava prima del sermone, verso la fine della messa.

La religiosità di Bach che è innanzitutto sforzo morale ed estetico di conciliazione degli opposti (celeste-terrestre) e riflesso anche di precisi postulati filosofici (leibniziani) che tendono a far coincidere l'armonia cosmica con quella umana, senza ombre di tragicità irrisolta, si dispiega in queste due opere con naturalissimi accenti.

La cantata n. 118 — più propriamente un mottetto — utilizza la prima strofa di un cantico funebre di Martin Bohm (1610) nel quale si ricorda la fragile e transeunte condizione dell'uomo («Auf Erden bin ich nur ein Gast», sulla terra sono solo un ospite), rischiarata dalla luce del Signore («O Jesu Christ, mein's Lebens Licht», Gesù Cristo, luce della mia vita).

Di questa composizione ci sono giunte due partiture originali risalenti rispettivamente al 1737 e al 1740, la prima per soli fiati destinata a un'esecuzione all'aperto, la successiva offerta in chiesa durante i funerali del conte von Flemming.

Caso più unico che raro Bach prescrive in entrambi gli organici, peraltro assai differenziati, due «litui», strumenti a fiato di antichissima origine dal suono dolce e velato. L'orchestra moderna li può agilmente sostituire, adottando le edizioni Oxford University Press, oppure quella Breitkopf e Haertel che prevede 2 oboi, 1 corno inglese, 2 fagotti, 2 corni, 3 trombe e timpani.

Dopo la luminosa e pacata introduzione strumentale, sulla melodia del corale (di anonimo) affidata al soprano si innestano liberamente le altre in un terso gioco polifonico che addita la serena trasfigurazione del dolore e della morte.

Fiamma Nicolodi

Testo

O Jesu Christ,
mein's Lebens Licht,
mein Hort, mein Trost,
meine Zuversicht,
auf Erden bin ich nur ein Gast
und drückt mich sehr der Sünden Last.
O Gesù Cristo,
luce della mia vita,
mio rifugio, mia consolazione,
mia speranza,
sulla terra sono solo di passaggio
e mi opprime il peso dei miei peccati.
Traduzione dal tedesco di Gudrun Stühff-Mazzoni

(1)  Testo tratto dal programma di sala del Concerto del Maggio Musicale Fiorentino
Firenze, Teatro Comunale, 14 ottobre 1977

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Ultimo aggiornamento 16 gennaio 2019