Herr, gehe nicht in's Gericht (Signore, non giudicare), BWV 105

Cantata in sol minore per soli, coro e orchestra

Musica: Johann Sebastian Bach (1685 - 1750)
Testo: autore ignoto
Occasione: 9a domenica dopo la festa della Trinità
  1. a. Herr, gehe nicht in's Gericht
        Coro in sol minore per coro e tutti gli strumenti
    b. Herr, gehe nicht in's Gericht
        Aria in sol minore per tenore, basso e tutti gli strumenti
  2. Mein Gott, verwirf mich nicht
    Recitativo in do minore/si bemolle maggiore per contralto e continuo
  3. Wie zittern und wanken der Sünder Gedanken
    Aria in mi bemolle maggiore per soprano, oboe e archi
  4. Wohl aber dem, der seinen Bürgen weiss
    Recitativo in si bemolle maggiore/mi bemolle maggiore per basso, archi e continuo
  5. Kann ich nur Jesum mir zum Freunde machen
    Aria in si bemolle maggiore per tenore, corno, archi e continuo
  6. Nun, ich weiss, du wirst mir stillen
    Corale in sol minore per coro archi e continuo
Organico: soprano, contralto, tenore, basso, coro misto, 2 oboi, corno, 2 violini, viola, continuo
Composizione: Lipsia, 1723
Prima esecuzione: Lipsia, Thomaskirche, 25 luglio 1723
Edizione: Simrock, Bonn, 1830
Guida all'ascolto (nota 1)

Nel catalogo delle opere di Bach, il capitolo delle Cantate non è solo il più ricco, ma anche il più rivelatore e il più intricato. Ricco per la quantità e la varietà delle composizioni che ci sono pervenute: oltre duecento Cantate sacre e circa trenta profane. Rivelatore per i metodi che Bach affinò soprattutto allo scopo di far fronte all'intenso ritmo produttivo che gli veniva richiesto: negli anni trascorsi a Lipsia, per fare un esempio, il suo contratto con la cantoria di San Tommaso prevedeva che egli preparasse circa sessanta Cantate l'anno. Intricato, infine, per la difficoltà di ricostruire la genesi delle singole opere e per l'impossibilità di valutare in maniera realistica la frequenza con la quale Bach riutilizzava in ambito sacro i materiali delle Cantate profane, e viceversa: per comprendere quanto lacunose siano le nostre informazioni a riguardo basterà ricordare che la maggior parte delle Cantate profane è andata perduta e che identico destino, nonostante la quantità di opere in nostro possesso, è stato seguito da circa il quaranta per cento della sua produzione sacra.

Da quel che conosciamo, in ogni caso, è possibile ricavare un'idea del modo in cui Bach lavorava e dell'importanza che il genere della Cantata ha avuto nell'evoluzione del suo stile dal giorno in cui, diciottenne, si era recato a Lubecca per ascoltare le Abendmusiken di Dietrich Buxtehude, un tentativo di rinnovamento stilistico che grazie all'impiego di ampie masse strumentali e corali rese più ambizioso e spettacolare il genere della Cantata da chiesa.

L'esperienza compiuta accanto a Buxtehude servì al giovane Bach soprattutto per la tecnica dell'orchestrazione, per la capacità di usare in funzione espressiva i rapporti fra le diverse famiglie strumentali, per la facilità nel conferire un senso drammatico all'alternanza di pagine corali e passaggi solistici. Con un incessante lavoro di elaborazione e perfezionamento, tuttavia, Bach trasformò la Cantata in un organismo sempre più plastico e versatile, tale da assorbire e metabolizzare in una forma coerente fonti musicali e stilistiche anche molto lontane fra loro.

In molti casi la Cantata bachiana recupera linguaggi arcaicizzanti, è scandita da fraseggi duri, da melodie di mistica asciuttezza o da trame polifoniche al limite dell'esoterismo. Parallelamente, Bach introduce nella Cantata le movenze più aggiornate della musica profana, come si vede dal frequente uso di ritmi di danza oppure dal taglio galante delle arie solistiche, dai duetti, dall'impostazione operistica che queste pagine spesso condividono con i recitativi.

Nelle Cantate di Bach, dunque, la coerenza musicale non è assicurata dall'omogeneità dei mezzi stilistici, ma dal modello letterario della tradizione luterana, come pure dalle simmetrie che l'autore pianifica per meglio rivestirne sia i contenuti teologici, sia quelli più schiettamente narrativi. Il testo, infatti, alterna di solito corali, versetti biblici, preghiere e versi liberi di meditazione: con precisa corrispondenza, Bach tende a distribuire il materiale musicale in base a un simbolismo che nella maggior parte dei casi dipende più dall'intenzione di rafforzare l'effetto drammatico dei versi che da una cabala numerologica o da speculazioni astratte. L'uso di rigorosi schemi geometrici e il ricorso a un simbolismo ben codificato diventano inoltre per Bach efficacissimi strumenti di lavoro, elementi di un vero e proprio metodo il cui scopo è quello di semplificare, se non proprio di automatizzare, la selezione dei materiali musicali e il processo compositivo di fronte alle esigenze poste di volta in volta dai testi. Solo grazie a una simile organizzazione del lavoro Bach poteva riutilizzare in una Cantata le arie scritte per un'altra, oppure mutare il testo di una Cantata profana adattandovi quello destinato all'uso liturgico, secondo l'uso che allora si definiva "parodia".

Nel calendario della chiesa luterana il periodo dell'Avvento, che comprende le quattro domeniche precedenti il Natale, coincide con l'inizio dell'anno liturgico. Durante questo arco di tempo, all'epoca di Bach, in chiesa non potevano svolgersi festività o celebrazioni di alcun genere. Era vietato anche fare musica, specie se accompagnata da strumenti, mentre al massimo poteva essere tollerata l'esecuzione di semplici corali o di brani per organo solo. Si faceva un'eccezione solo per la prima domenica di Avvento: in questa data, infatti, l'inaugurazione dell'anno liturgico offriva il pretesto per una celebrazione fastosa, nella quale era previsto si ricorresse ampiamente all'esecuzione di musica con strumenti. Per dare un'idea di come si svolgessero simili celebrazioni, basterà leggere la nota che Bach scrisse sul retro della partitura della Cantata BWV 61 per il servizio della prima domenica di Avvento dell'anno 1724. La riportiamo qui nella traduzione che ne ha dato Alberto Basso (Frau Musika, Torino, EDT, 1983, voi. II, p. 33):

  1. Si preludia.
  2. Motetta.
  3. Si preludia sul Kyrie, che viene eseguito per intero.
  4. Si intona davanti all'altare.
  5. Si legge l'Epistola.
  6. Si canta la Litania.
  7. Si preludia sul corale.
  8. Si legge l'Evangelium.
  9. Si preludia alla musica principale [= Cantata].
  10. Si canta il Credo.
  11. La predica.
  12. Dopo la predica, come d'abitudine si cantano alcuni versetti di un Lied.
  13. Verba Institutionis [= istituzione della Santa Cena].
  14. Si preludia alla musica. E dopo questa si alternano preludi e canto di corali, sino al termine della Comunione.

Come si vede, l'esecuzione della Cantata è immersa in un contesto di partecipazione liturgica molto ampio; la sua posizione subito dopo la lettura del Vangelo ne rafforza ulteriormente il compito retorico cui essa assolveva, quello di incrementare l'efficacia drammatica della vicenda sacra e di muovere i fedeli alla partecipazione, ovvero - nel senso più forte del termine - alla compassione.

Alla festività della prima domenica di Avvento Bach destinò in tutto tre Cantate. Il tono festoso dell'occasione liturgica gli consentì almeno in un caso di valersi di materiale profano nella composizione. Come vedremo, in ogni caso, tutte le tre Cantate sono concepite su una semplice scansione simmetrica che gioca per lo più sul contrasto fra il giubilo dell'attesa e il più oscuro raccoglimento della preghiera.

* * *

Questa Cantata, una delle più belle dell'intero catalogo bachiano, non ha alcun riferimento all'Avvento ed è piuttosto scritta per una domenica di fine luglio, in coincidenza con la lettura di Luca 16, 1-9. Si tratta della parabola dell'amministratore infedele, quella che termina con le parole di Gesù: «Nessun servo può servire due padroni: o odierà l'uno e amerà l'altro, oppure si affezionerà all'uno e disprezzerà l'altro. Non potete servire a Dio e a mammona». La Cantata si concentra subito sul senso di questa conclusione, senza troppo badare allo svolgimento della parabola. Si tratta perciò di una Cantata meditativa in cui il coro pronuncia ammonimenti, formula invocazioni o recita preghiere, mentre i solisti si ripiegano nella riflessicene oppure formulano voti di pace.

L'inizio della Cantata segue il modello del preludio e fuga: un Adagio di forte impatto drammatico, con significative spezzature ritmiche, interessanti incisi strumentali e diversi modi di invocazione distribuiti fra le varie parti del coro; quindi un Allegro che insiste ossessivamente sullo stesso tema e vi cuce intorno una virtuosistica trama di contrappunto. Le arie sono due, entrambe debitrici dello stile concertante: la prima con soprano e oboe solista, senza basso continuo e con i soli archi a tratteggiare il sostegno armonico; la seconda in tempo di danza e con due strumenti in evidenza, il corno e il violino.

Stefano Catucci


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 14 novembre 1996

I testi riportati in questa pagina sono tratti, prevalentemente, da programmi di sala di concerti e sono di proprietà delle Istituzioni o degli Editori riportati in calce alle note.
Ogni successiva diffusione può essere fatta solo previa autorizzazione da richiedere direttamente agli aventi diritto.


Ultimo aggiornamento 24 ottobre 2014