Du Hirte Israel, höre (Tu pastore d'Israele, ascolta), BWV 104

Cantata in sol maggiore per soli, coro e orchestra

Musica: Johann Sebastian Bach (1685 - 1750)
Testo: autore ignoto
Occasione: 2a domenica dopo Pasqua
  1. Du Hirte Israel, höre!
    Coro in sol minore per coro, 2 oboi, corno inglese, archi e continuo
  2. Der höchste Hüter sorgt für mich
    Recitativo in mi minore/si minore per tenore e continuo
  3. Verbirgt mein Hirte sich zu lange
    Aria in si minore per tenore, 2 oboi d'amore e continuo
  4. Ja, dieses Wort ist meiner Seelen Speise
    Recitativo in re maggiore per basso e continuo
  5. Beglückte Herde, Jesu Schafe
    Aria in re maggiore per basso, oboe d'amore, archi e continuo
  6. Der Herr ist mein getreuer Hirt
    Corale in la maggiore per coro, 2 oboi, corno inglese, archi e continuo
Organico: tenore, basso, coro misto, 2 oboi (anche oboi d'amore), corno inglese, 2 violini, viola, continuo
Composizione: Lipsia, 1724
Prima esecuzione: Lipsia, Thomaskirche, 23 aprile 1724
Edizione: Simrock, Bonn, 1830
Guida all'ascolto (nota 1)

La cantata sacra, Du Hirte Israel, böre (BWV 104), fa parte della cosiddetta prima annata (comprendente il periodo compreso fra il 30 maggio 1723 e il 4 giugno 1724). La cantata in questione venne eseguita il 23 aprile 1724 nella Dominica Misericordias Domini (la seconda domenica dopo la Pasqua, che in quell'anno cadde il 9 aprile). Il testo del Vangelo per quella Domenica (che prende nome dalle prime parole dell'introito) è tratto da Giovanni 10, vv. 12-16 e si riferisce all'episodio del Cristo che si paragona al buon pastore. È questo un tema caro alla cultura religiosa ebraica e al cristianesimo. In una civiltà essenzialmente dedita alla pastorizia, è naturale che la figura del pastore, del capo e conduttore del gregge dovesse assumere connotazioni importanti, costimire un punto di riferimento obbligato. Al pastore si riconnettono funzioni di comando, ma anche di protezione, di dedizione, di amore, di fratellanza, tutte all'insegna di una fortezza che è tanto dell'anima quanto del corpo. La parabola del buon pastore, presente anche in Luca (cap. 15), è in realtà la proiezione di concetti che sono già espressi nell'Antico Testamento, specialmente nei Salmi. Nel Nuovo Testamento, poi, l'immagine è destinata a fortificarsi e ad assumere la connotazione più specifica del "buon pastore" (sottolineando tanto l'aspetto della bontà quanto quello della capacità), in contrapposizione all'opinione popolare corrente in Israele che aveva finito col fare dei pastori persone assimilabili ai predoni e agli assassini.

È importante tener presente nelle cantate bachiane consacrate a questa Domenica - oltre la BWV 104, appartengono a questa festività liturgica la cantata BWV 85 (Ich bin ein guter Hirt, 15 aprile 1725) e la cantata BWV 112 (Der Herr ist rnein getreuer Hìrt, 8 aprile 1731) - ì passi più significativi dell'Epistola e del Vangelo previsti dal calendario liturgico. All'Epistola viene proposto un passo della Pima Lettera di Pietro (2, vv. 21-25) che si chiude su queste parole: «Eravate erranti come pecore, ma adesso siete tornati al pastore e custode delle vostre anime». E al Vangelo, Giovanni (10, vv. 12-16), è detto fra l'altro: «Io sono il buon pastore, e conosco le mie pecore, e le mie pecore conoscono me, come il Padre conosce me ed io conosco il Padre; e offro la mia vita per le pecore. Ed ho ancora altre pecore che non sono di quest'ovile; anche quelle io devo radunare, ed ascolteranno la mia voce, e si avrà un solo gregge, un solo pastore».

La prima di tali cantate, Du Hirte Israel, böre (BWV 104), si apre con una citazione del Salmo 80, v. 2 («Tu, pastore d'Israele, ascolta, tu che guidi Giuseppe come il gregge, mostrati, tu che siedi sopra i Cherubini»). Tali parole forniscono l'occasione per fare tesoro di un'immagine che è carissima alla cristianità e dare vita ad un quadro di circostanza, ad una scena pastorale dotata di un apparato strumentale e di un andamento ritmico conforme al genere che l'età barocca tanto predilesse. Nonostante il diverso impegno del coro, ora condotto in omofonia, ora in polifonia, le linee melodiche sono sempre morbide e non v'è soluzione di continuità fra i cinque episodi corali: i due interventi fugati, di 20 battute ciascuno, condotti sul secondo emistichio del versetto, si svolgono su un tema che è una dilatazione del tema iniziale, mentre le due parole-chiave (böre e erscheine, "ascolta" e "mostrati"), dotate ciascuna di un proprio motto musicale, percorrono tutta la partitura con dolce insistenza. Il principio pastorale è ribadito nelle due arie, specie nella seconda, che nell'episodio centrale propone in maniera toccante l'immagine del sonno della morte. L'Opera, i cui testi "liberi" (quelli delle due arie e dei due recitativi) sono di ignoto autore, si chiude sul corale Allein Gott in der Höh sei Ehr.

Alberto Basso


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 15 gennaio 1999

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Ultimo aggiornamento 16 ottobre 2014